mercoledì 30 aprile 2008

IRAQ:ALMENO 1.073 IRACHENI UCCISI AD APRILE

Sono almeno 1.073 gli iracheni che sono stati uccisi ad aprile in Iraq. Il dato emerge da cifre ufficiali rese note oggi. (Agr)

martedì 29 aprile 2008

PREZZI IN TEMPO REALE.OLTRE 88 MILA CONTATTI PER "SMS CONSUMATORI"

Successo per il servizio che fornisce informazioni sui prezzi di 84 prodotti alimentari, dal pane al latte.
L'iniziativa, a quanto pare, ha avuto successo. C'è stato infatti un vero e proprio boom di contatti per «Sms consumatori», il servizio gratuito che fornisce informazioni sui prezzi di 84 prodotti alimentari, via cellulare. Nei soli primi cinque giorni di attivazione, dal 22 al 27 aprile, il sistema operativo ha ricevuto 88.159 messaggi e ne ha inviati, in risposta, 106.740. Tra i prodotti più gettonati dai consumatori interessati a conoscere il prezzo giusto: il pane (6.650), le zucchine (4.313), le mele (4.002), il latte (3.714), i pomodori (3.660), le fragole (3.287), le banane (2.258), le arance (1.811), la pasta (1.785), le patate (1.722).
Il servizio, promosso e realizzato dal ministero delle Politiche agricole, insieme a Ismea e a otto associazioni dei consumatori, funziona inviando un messaggio con il telefono cellulare al 47947, indicando il nome del prodotto. Si ricevono in tempo reale le informazioni sul prezzo rilevato giornalmente (suddiviso nelle tre macro aree regionali del Nord, Centro e Sud), il prezzo medio nazionale all'origine e il prezzo medio all'ingrosso aggiornato settimanalmente. «Tanti contatti dimostrano che questa è un'iniziativa estremamente felice ed efficace - afferma Paolo De Castro, ministro delle Politiche agricole - si tratta di un servizio che consente ai consumatori di difendersi meglio da eventuali speculazioni». Nei primi cinque giorni, le visite al sito internet www.smsconsumatori.it sono state 7.608 e 51.296, invece, le pagine visualizzate. Il sito permette di accedere ad informazioni aggiuntive ed offre l'opportunità di inviare segnalazioni alle associazioni dei consumatori relative a prezzi anomali o all'eventuale assenza d'etichetta. In caso di oscillazioni molto forti dei prezzi infatti, sarà discrezione delle associazioni dei consumatori trasmettere le segnalazioni al Garante di sorveglianza.
Al servizio «Sms consumatori», però, è rivolta la dura critica dell'Assoconsumatori Milano: «Ennesimo mix di demagogia ed analfabetismo sulle regole di funzionamento delle dinamiche dei mercati e dei prezzi - si legge in un comunicato - «sms consumatori» viene spacciato come servizio utile ai cittadini. In realtà il moltiplicarsi di inutili osservatori prezzi, in un'economia di mercato dove il mitico "prezzo giusto" non esiste, è la dimostrazione di una classe dirigente totalmente incapace di ammettere la propria impotenza di fronte al fenomeno inflattivo in corso».


(da Corriere.it)

sabato 26 aprile 2008

CHERNOBYL:22 ANNI DOPO

Il reattore numero quattro collassò nella notte. Un'enorme quantità di radiazioni si sollevarono nel cielo di Chernobyl.
Attraversarono i confini dell’uomo e contaminarono paesi e persone. Da quel 26 aprile del 1986 il mondo cambiò per sempre.
Nel 1987 l’Italia rinunciò al nucleare con un referendum per dipendere da lì in poi solo e soltanto da gas e petrolio.
Oggi, 22 anni dopo la sciagura in Ucraina, il Pianeta - sempre più affamato di cibo e di energia - commemora la tragedia e si interroga sul futuro.
Il disastro di Chernobyl fu il più grave incidente a un impianto nucleare civile. Negli anni causò quattro mila decessi per tumore in Ucraina, Bielorussia e alcune zone della Russia.
Secondo il governo ucraino, che proprio in queste ore ricorda la disgrazia, oltre 2, milioni di cittadini dell’ex repubblica sovietica hanno sofferto per la catastrofe.
Prima erano tutti figli del grande Impero. Ora la Nazione di Viktor Yushchenko cerca di sopravvivere, orfana del nucleare e di Mosca. Sogna l’Occidente, ma vive ancora in Oriente.
E in quell’Oriente, stretto in una morsa, indeciso tra passato e futuro, già nelle prime ore della notte sono iniziate le commemorazioni.
Fiori freschi hanno profumato l’aria di Kiev, mentre le fiamme delle candele vibravano nel vento freddo per ricordare la catastrofe davanti al monumento dedicato alle vittime.
“Una catastrofe - ha scritto in una nota il ministero della Sanità ucraino - diventata planetaria. Che continua a influenzare lo stato di salute delle persone e dell’ambiente”.

Mai più.


(da IL REPORTER.IT)


Per non dimenticare.

SESSO:UNA DONNA SU 5 PAGA L'AMORE

Il fenomeno dilaga su Internet. Sarebbero disposte anche a sborsare 5 mila euro per una notte con un gigolò vip
Fino a qualche anno fa era ancora un tabù: oggi l’amore a pagamento è una vera e propria moda che dilaga tra le esponenti del gentil sesso, ben due su dieci. E anche le più ricche non si accontenterebbero di un prostituto qualunque, bensì aspirerebbero a gigolò famosi a «pagamento» (ammesso che fossero disponibili) come Massimo Giletti, Tiberio Timperi e Stefano Bettarini. Complici le potenzialità di Internet, che consente di entrare facilmente in contatto con escort e accompagnatori anche a donne che prima non l’avrebbero mai fatto. Ad analizzare il fenomeno ha provveduto l’associazione «Donne e qualità della vita», presieduta dalla sessuologa Serenella Salomoni, che, partendo dal boom di siti web dedicati alla compravendita del sesso, ha studiato le ultime evoluzioni del trend interrogando sull’argomento un panel di 1500 donne di età compresa tra i 18 e i 50 anni.
Risultato: ben 1 donna su 4 (37% del campione) ha pensato almeno una volta di pagare un uomo per avere un rapporto, quasi 2 su 10 (il 19% delle intervistate) si sono tolte concretamente questo sfizio, e nel nostro Paese, dove l’idolatria verso il tubo catodico la fa da sovrana, ben una su tre sarebbe disposta a pagare fino a 5.000 euro per una notte di passione con un vip tv, Massimo Giletti in testa (28%). È un proliferare di siti che si rivolgono a donne di varia età e che propongono una carrellata di profili maschili per tutte le cifre e tutte le prestazioni, per un totale, ha stimato l’Associazione, di 300.000 donne al giorno in contatto e oltre 8.000 transazioni portate a buon fine. Esistono poi centinaia di siti personali, completi di foto, informazioni dettagliate e listino prezzi differenziato a seconda della durata del «noleggio».
Non manca chi ha inserito anche una sezione «Gift», dove consiglia alle clienti i regali da lui più graditi. Il target delle cacciatrici di sesso a pagamento? Sono donne di mezza età (il 38% hanno fra i 30 e i 40 anni, il 25% tra i 40 e i 50), quasi 1 su 4 (23%) lavora come imprenditrice, anche se la clientela degli escort si compone in gran parte anche di donne manager (19%), consulenti (15%), libere professioniste (14%) e impiegate (13%). Meno rappresentate altre categorie, quali lavoratrici part-time (8%) e casalinghe (5%). La maggior parte di queste donne vive per lo più in contesti metropolitani (il 37% in città tra i 100.000 e i 500.000 abitanti). Non sono tutte necessariamente single (35% del panel): il 21% risultano coniugate. Un caso a parte è rappresentato dalle divorziate, che ammontano al 27%.
Ma cosa spinge una donna a regalarsi dei momenti di piacere mettendo mano alla tasca? Incredibile, ma vero: la voglia di fare del buon sesso (22%) non è l’unica motivazione. Per il 18% tutto nascerebbe da carenze affettive, mentre per il 16% sarebbe tutta una questione di curiosità. Per il 9% è puro divertimento. La maggior parte (26%) comunque vuole solo passare qualche ora con un escort quale diversivo per evadere dalla banale routine quotidiana. Ma quanto costa affittare un bellone per soddisfare i propri capricci? Non esistono tariffe standard. I prezzi variano a seconda della qualità della «merce», del tempo che si intende trascorrere in compagnia dell’uomo dei propri sogni e dei servigi che gli vengono richiesti.
Per un week-end con un escort di classe, dunque, ci si deve rassegnare a spendere almeno 1.000 euro, mentre per una prestazione per così dire «usa e getta» è possibile cavarsela anche con 100 euro. Ma il vero sogno delle donne dedite all’acquisto del piacere su Internet è quello di pagarsi una notte con un gigolò vip. Ben una su tre (33%) sarebbe disposta a sborsare fino a 5.000 euro per una notte di passione con il volto tv preferito. La top five dei cinque personaggi televisivi vede attestato al primo posto il conduttore di «Domenica In - L’Arena», Massimo Giletti (28%), che conferma ancora una volta la sua fama di tombeur de femme e la spunta nel testa a testa con l’altro «belloccio» della domenica pomeriggio, Stefano Bettarini (25%), mattatore di «Buona Domenica». Medaglia di bronzo per il re dei quiz preserali, Carlo Conti (L’Eredità), accompagnatore ideale per il 16% delle intervistate. Per il 15%, invece, il sogno proibito risponde al nome di Ezio Greggio (Striscia la Notizia), da sempre circondato di belle donne, che viene preferito soprattutto dalle signore di una certa età. Si difende bene, infine, anche Tiberio Timperi, storico padrone di casa della trasmissione mattutina del fine settimana «Mattina in famiglia», che conquista l’8% del campione.

(DA LA STAMPA.IT)

giovedì 24 aprile 2008

NOTIZIE FANTASMA

Informazione serva del potere
Né inchieste né reportage
Fiumi d’inchiostro solo per piacere
O per essere sempre “à la page”

Redazioni svuotate di ogni decisione
Manovre sottobanco per insabbiare
Altrimenti chi lo sente il padrone
A chi non rispetta i patti lo farà licenziare

Informazione schiava della politica
Onorevoli intoccabili e da osannare
Notizie che scompaiono con un colpo di bacchetta magica
Tanto la gente ha altro a cui pensare

(da LA PAZZIA DELLE FOLLE)

Una volta i giornalisti facevano scoprire gli scandali,mentre oggi gli scandali sono certi giornalisti servi del potere.

mercoledì 23 aprile 2008

I PIU' CELEBRI INSULTI POLITICI (SECONDO IL TIMES). C'E' ANCHE PRODI.

Nell'ultima campagna elettorale italiana è comparso raramente, forse perché i nostri politici, in passato, ne hanno abuso indiscriminatamente. L'insulto, ovvero la pratica di attaccare violentemente gli avversari politici, è stata riscoperta recentemente dai quotidiani del Regno Unito, patria del liberalismo e del fair play, dopo che il primo ministro britannico Gordon Brown è stato definito dal dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe «solo un piccolo puntino in questo mondo» perché aveva criticato la lentezza dello scrutinio durante le recenti elezioni nel Paese africano. Partendo da questo attacco poco gentile il Times di Londra ha provato a stilare la top ten degli insulti politici più celebri.
Bisogna dire che la classifica è fortemente anglocentrica. Nove insulti su dieci sono stati proferiti da politici britannici verso connazionali. Tuttavia l'unico attacco non britannico presente nella top ten è quello lanciato da Romano Prodi nei confronti di Silvio Berlusconi durante la campagna elettorale del 2006. Il professore durante il secondo faccia a faccia televisivo con il Cavaliere, spazientito per le accuse e la carrellata di numeri enunciati dall'allora leader del «Polo delle libertà» parafrasando una celebre battuta del premio Nobel irlandese George Bernard Shaw, commentò sarcastico: «Berlusconi si attacca alle cifre come gli ubriachi si attaccano ai lampioni»
Nella top ten non poteva mancare Winston Churchill, oratore di indubbia fama che spesso freddava i suoi avversari con battute al vetriolo. Tra le sue più celebri invettive il Times ne sceglie due: la prima è quella indirizzata nei confronti di Clement Attlee che lo spodestò dalla carica di primo ministro all'indomani della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Il leader laburista fu definito dal grande premier britannico «Una pecora in abiti da pecora» (parafrasando il proverbio «un lupo in abiti da pecora»). La seconda offesa di Churchill vide come vittima Sir Stafford Cripps, esponente laburista. Per criticare la sua strategia politica Churchill commentò: «There but for the grace of God goes God» (parafrasando il proverbio «There but for the grace of God go I» «Se Dio non mi aiuta vado finire così anch'io») che potrebbe essere tradotto più o meno con «Se Dio non si aiuta va a finire male pure Lui». Nella sua lunga carriera il politico conservatore fu investito anche da diversi attacchi. Il Times sceglie quello rivolto nei suoi confronti dallo statista inglese d'inizio novecento Frederick Edwin Smith che disse di Churchill: «Winston ha speso i migliori anni della sua vita a preparare discorsi improvvisati»
Secondo il Times l'età dell'oro dell'invettiva fu il periodo vittoriano quando due dei più famosi politici inglesi, Benjamin Disraeli e William Gladstone si affrontarono per decenni nella Camera dei Comuni anche a colpi d'insulti. Tra questi il Times ricorda l'invettiva di Disraeli che così una volta criticò l'avversario di una vita: «Non ha un solo difetto che si possa redimere». Ma il politico conservatore non era l'unico a non amare Gladstone. Gli storici raccontano che non andasse a genio nemmeno alla regina Vittoria che gli preferì sempre il suo acerrimo avversario. Una volta la stessa regina, stanca dei modi «rozzi» di Gladstone, troppo lontani dall’etichetta di corte, disse di lui: «Il signor Gladstone si rivolge a me come se parlasse al pubblico».
Margaret Thatcher è un altro dei politici più insultati della storia inglese. Secondo il Times potrebbe essere scritto un intero libro sulle invettive ricevute durante la sua lunga carriera da primo ministro. Il quotidiano londinese sceglie per la top ten due famose offese: la prima è quella del politico conservatore Jonathan Aitken che intervistato da un giornale egiziano e volendo sottolineare l'ignoranza sulle questioni mediorientali della Lady di Ferro disse sarcastico: «Probabilmente pensa che Sinai sia il plurale di seno» (dove si intendono i seni nasali). La seconda è l’offesa di Lord St John of Fawsley che così descrisse la Thatcher: «Quando parla senza pensare, dice ciò che pensa». Terminano la top ten la frase del laburista Denis Healey che attaccato dal ministro thacheriano Geoffrey Howe proruppe: «E' come essere criticato da una pecora morta» e la battuta volgare di Alan Clark che disse del collega conservatore Douglas Hurd: «Potrebbe avere anche una pannocchia nel sedere».

(DA CORRIERE.IT)

lunedì 21 aprile 2008

LA NUOVA PREGHIERINA DELLA SERA

Silvio nostro
che scendi dal cielo a salvarci
siano santificati
i tuoi avvocati
venga
la tua dittatura
siano fatte
le tue leggi
come a Milano
così a Palermo

Dacci oggi
la tua barzelletta quotidiana
e rimetti a noi i tuoi debiti
come noi li rimettiamo
a tutti i comunisti
e non ci indurre in libertà
ma liberaci da Travaglio

Amen

(da "La pazzia delle folle" di Massimo Marcantoni)

domenica 20 aprile 2008

SIGARETTE VIETATE FINO A 18 ANNI. ARRIVA IL SI DELL'ITALIA.

Potrebbe essere molto più vicino il traguardo del divieto di fumo per chi ha meno di 18 anni in Italia. Potrebbe esserlo adesso che il nostro Paese ha ratificato, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale tre giorni fa, la Convenzione quadro dell'Organizzazione mondiale della Sanità sulla lotta al tabagismo, approvata dall'Assemblea dell'Oms nel 2003, che impegna le nazioni ad adottare misure legislative, esecutive e amministrative per vietare la vendita di prodotti del tabacco a chi non è maggiorenne secondo l'età prevista dal diritto interno. Per l'Italia, appunto, 18 anni. Oggi il limite per la vendita del tabacco è 16 anni, questa ratifica aprirebbe la strada ad una legge che estenda il divieto ai 18 anni. «Mi riempie di soddisfazione — ha detto il ministro della Salute Livia Turco — poter annunciare la ratifica di questa Convenzione, alla quale l'Italia ha attivamente partecipato. E lo sono anche perché la procedura parlamentare per l'approvazione era complessa e nonostante questo si è riusciti a conseguire questo eccellente risultato a fine legislatura ». La ratifica, è evidente, è soltanto un primo passo. Potrebbero volerci degli anni perché si passi dalla Convenzione dell'Oms ad una legge dello Stato italiano. L'Italia infatti è tra quegli Stati che spesso impiega molto tempo prima di trasformare in una legge interna una convenzione internazionale, soprattutto in tema di tutela dell'infanzia e dei minori. Eppure bisognerà andare in quella direzione, dice ancora il ministro Turco: «L'Oms affronta con un approccio globale il più importante fattore di rischio di morte e malattia nel mondo. La ratifica darà nuovo impulso alle iniziative di prevenzione e consentirà una maggiore cooperazione con altre amministrazioni per ridurre la domanda e l'offerta di sigarette, attraverso la lotta al contrabbando, la regolamentazione delle informazioni sui prodotti e della pubblicità, la definizione delle politiche fiscali e dei prezzi».

Vietare le sigarette ai minorenni è tra le primissime azioni efficaci per combattere le malattie legate al fumo, confermano all'Istituto Superiore di Sanità, malattie che in Italia ogni anni uccidono 80 mila persone. Prima si comincia a fumare maggiori sono i fattori di rischio che insorgono a partire dai 40 anni. E che in Italia esista un problema minori e fumo (come per l'alcol d'altronde) lo dicono le statistiche: su 12 milioni di fumatori, un milione e duecento mila sono giovani, il 19,9 per cento ha tra i 15 e i 24 anni e il 26,6 per cento accende la prima sigaretta addirittura prima dei 15 anni, più ragazze che ragazzi. La maggior parte dei minorenni, poi, comincia a fumare tra i 15 e i 17 anni, e sono il 58,2 per cento. Solo il 18,4 per cento accende la prima bionda tra i 18 e i 24 anni.

È quindi indispensabile contrastare il fumo dei minorenni. In Europa qualcuno ci è già arrivato. Nel 2007 il governo inglese ha alzato l'età «lecita» per acquistare le sigarette da 16 a 18 anni. Preceduto da Stati Uniti, dal Canada e dall'Australia. Da noi, dove, si sa, i divieti sono mal digeriti, spetterà al nuovo Parlamento di centrodestra prendere l'iniziativa. Il precedente governo Berlusconi ha al suo attivo la legge Sirchia contro il fumo nei locali pubblici che ha ridotto in due anni di due milioni e mezzo il numero dei fumatori. E soltanto nel 2007 sono stati venduti 50 milioni di pacchetti da 20 in meno rispetto al 2006. Riuscirà questo nuovo esecutivo nell'impresa di fare presto? L'operazione sarà sicuramente molto complessa. Perché la Convenzione prevede anche interventi sociali ed economici, come una serie di misure di contrasto all'uso del tabacco con la relativa riconversione economica dei coltivatori di tabacco, la responsabilità civile e penale e l'indennizzo per danni da sigaretta e il divieto globale della pubblicità e delle sponsorizzazioni per le multinazionali del tabacco. Una bella sfida.

(DA CORRIERE.IT)

sabato 19 aprile 2008

RICORDATEVI!!!!

non parcheggiate davanti agli scivoli per disabili,uno scalino per loro è un ostacolo insormontabile!!!

(iniziativa promossa da lauratani.myblog.it)

venerdì 18 aprile 2008

LA BLOGGER CHE IMBARAZZA OBAMA."ADESSO MI MINACCIANO DI MORTE".HA RIVELATO LA GAFFE SUI"PROVINCIALI DEDITI A PISTOLE E RELIGIONE"

Sono passati cinque giorni da quando «la gaffe» di Barack Obama è diventata pubblica. Ma il sabba mediatico intorno alle sue maldestre considerazioni sui disoccupati della Pennsylvania, che si «aggrappano alle armi e alla religione per trovare sbocco alle loro frustrazioni», è ancora scatenato. E la campagna del senatore dell’Illinois comincia a risentirne: secondo i sondaggi, a meno di una settimana dalle primarie nello Stato di Filadelfia, il recupero di Obama su Hillary Clinton si sarebbe fermato, con l’ex first-lady in vantaggio 50 a 44, stesso dato della rilevazione precedente. Detto altrimenti, «la gaffe» ha imposto l’ennesima torsione alla battaglia democratica, mettendo il favorito sulla difensiva. Probabilmente non riuscirà a privarlo della nomination, ma se qualcosa di drammatico e imprevisto dovesse accadere, Barack Obama sa già adesso chi dovrà «ringraziare » per questo boccone avvelenato.
Si chiama Mayhill Fowler, ha 61 anni ed è una «citizen journalist», uno di quei giornalisti per diletto che stanno facendo la fortuna dei blog. E’ stata lei a scrivere per l’Huffington Post, il sito web della sinistra intellettuale, il reportage sul «fund raiser», la cena per raccogliere fondi a San Francisco, dove Obama si è lasciato scappare il commento incriminato. L’ironia è che Fowler è anche fan di Barack e ha donato alla campagna il massimo consentito di 2.300 dollari. Prima di venerdì scorso, nessuna delle sue storie aveva suscitato particolare attenzione. Ma da quel momento, Mayhill, che ha scoperto la vocazione del reporter politico a 50 anni, è diventata famosa suo malgrado: accanto a pochi messaggi di congratulazioni, la sua posta è stata ingolfata da centinaia di email di insulti, comprese alcune minacce di morte, inviate dai fanatici di Obama, che l’accusano di aver volutamente danneggiato il senatore con metodi disonesti.
La Fowler s’è infatti intrufolata nel fund-raiser, nonostante fosse chiuso alla stampa, grazie all’aiuto di un responsabile della campagna suo amico al quale ha chiesto un invito, vantando il suo appoggio al candidato. Una volta dentro, ha registrato tutto il discorso del senatore. «Quella frase mi ha disturbata, l’ho trovata molto elitaria », ha raccontato al Los Angeles Times. Ma ha esitato prima di scriverla. Ne ha parlato con l’editor dell’Huffington Post, che coordina il lavoro dei citizen journalist: «Se fai questo mestiere, non puoi favorire un candidato su un altro», le è stato detto. Ci ha pensato un po’, poi si è decisa: «Ho mandato la storia, cercando di non perdere tutto il contesto». Ma il prezzo che sta pagando le sembra piuttosto alto: «E’ come se tutta la blogosfera progressista abbia messo una fatwa su di me». Il suo caso è l’ultima dimostrazione di come stia cambiando il giornalismo politico nell’era dell’Internet, grazie o per colpa (a seconda dei punti di vista) dei citizen journalist: «Stiamo entrando in un nuovo territorio, dove le regole su cosa si possa riportare e cosa no, non sono più chiare», dice Larry Prior della University of South Carolina.

(DA CORRIERE.IT)

giovedì 17 aprile 2008

LECCO:CONDANNATO A DIECI GIORNI DI PRIGIONE PER UNO SGUARDO TROPPO INSISTENTE.

Il suo avvocato giura che non c'era malizia in quello sguardo ma il giudice non gli crede. Il trentenne colpevole di aver guardato con troppa insistenza una viaggiatrice del treno regionale Lecco-Sondrio, è stato condannato a dieci giorni di reclusione per molestie e 40 euro di multa. I fatti risalgono a tre anni fa ma la sentenza è stata emessa solo ora. La vittima, una donna di 55 anni, in aula non si è presentata. Le sue accuse sono scritte in un verbale della polizia ferroviaria consegnato a un agente della stazione di Lecco. Neppure uno scambio di parole tra i due; nessun complimento. Solo quello sguardo insistente. Il giorno prima, aveva raccontato la signora, quell'uomo si era seduto vicino a lei e l'aveva costretta a spostare anche il cappotto pur di starmi vicino. E il giorno successivo, ancora sul treno, l'aveva guardato a lungo. "Poco, troppo poco", sostiene Richard Martini, difensore dell'uomo. "Per condannare un incensurato e rispettabilissimo signore di trent'anni serve altro". Annuncia appello l'avvocato perché in quell'aula di tribunale non si è presentato un solo testimone a convalidare la tesi della donna, e perché il giorno successivo alla denuncia due agenti in borghese avevano seguito l'indiziato in viaggio verso Milano e non avevano notato nel suo comportamento nulla di esecrabile. La sentenza, definitia "ingiusta" dall'avvocato, ha suscitato giudizi contrastanti. "Se adesso non si può neppure lanciare uno sguardo verso una bella donna, come faremo noi uomini?", ha detto un impiegato del palazzo di giustizia di Lecco. Diverso il commento di una sua collega convinta, come il giudice, che "un'occhiata appiccicosa può essere molesta quanto una frase volgare o un corteggiamento assillante". All'imputato resta il beneficio di non dover scontare la pena: i dieci giorni di condanna sono stati cancellati dall'indulto.

(da Repubblica.it)

martedì 15 aprile 2008

LA SPOSA BAMBINA OTTIENE IL DIVORZIO.

Nojoud, 8 anni, sorride, mangia una fetta di torta al cioccolato e stringe un grosso orso di peluche rosso. Festeggia il suo divorzio dal marito trentenne, deciso oggi da un giudice a Sana’a in Yemen. Nojoud Muhammed Nasser, la prima sposa bambina a chiedere il divorzio dal marito in un tribunale dello Yemen, ha vinto. È libera. Era fuggita dalla casa dello sposo il 2 aprile per presentarsi tutta sola in un tribunale della capitale. Aveva denunciato il padre, che l’ha costretta a sposarsi due mesi fa, e il marito che l’ha picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali.
La legge in Yemen fissa i 15 anni come età minima per il matrimonio, ma non punisce le famiglie delle minorenni che le danno in spose prima di quell’età. Oggi a mezzogiorno il giudice Muhamed Al-Qadhi ha annunciato la sentenza. Ha stabilito che gli abusi del marito nei confronti di Nojoud e il fatto che non era ancora «matura» sono una ragione sufficiente per annullare il matrimonio. «Ogni volta che volevo giocare in cortile, mi picchiava e mi faceva andare con lui in camera da letto — aveva raccontato la bambina —. Quando lo imploravo di avere pietà, mi picchiava, mi schiaffeggiava e poi mi usava». L’annullamento su richiesta della donna, previsto dalla sharia e dalla legge yemenita (che si basa sulla prima), si chiama «khol’e». Prevede anche che la famiglia restituisca la somma pagata dal marito come dote per le nozze. Il giudice ha ordinato alla famiglia di restituire 100.000 rial (316 euro) all’uomo. «È stato possibile grazie ai soldi inviati da lettori commossi, soprattutto dagli Emirati Arabi Uniti», spiega il reporter Hamed Thabet dello Yemen Times, che per primo ha intervistato la bambina e che ha seguito la vicenda fino alla fine.
Il padre della bambina, Muhammed Nasser, si è detto pentito di averla data in sposa: ha detto di averlo fatto perché è povero e non aveva altra scelta. Non è stato incriminato. Il marito, Faez Ali Thamer, che era stato arrestato il 2 aprile su decisione dello stesso giudice, ha accettato i soldi e, dopo l’annullamento delle nozze, è stato liberato. «Cosa vuoi adesso, Nojoud?», le ha chiesto dopo la vittoria il reporter Thabet. «Vorrei studiare. Vorrei una torta e un grosso orso».
Un lieto fine. Ma, osserva l’avvocatessa Nasser, resta il problema della legge. Il codice civile yemenita non impedisce ai tutori delle minorenni di darle in spose. Nel Paese oltre il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il 46% degli abitanti hanno meno di 15 anni. I figli a carico sono spesso visti come un peso nelle zone rurali. Oltre il 50% delle spose, secondo uno studio del 2006, sono bambine, di solito tra gli 8 e i 10 anni. Diverse associazioni per i diritti umani e delle donne, insieme a 61 deputati del parlamento yemenita, hanno sollecitato una legge che imponga come limite minimo per il matrimonio l’età di 18 anni. Ma la Commissione Giustizia sostiene che non ci sono le basi per modificare la legge secondo i dettami dell’Islam. «Lottiamo dagli anni ‘90 per cambiare la legge e la Costituzione, che stabilisce che la base della legislazione debba essere la sharia», spiega Amal Basha, direttrice del Sisters Arab Forum for Human Rights al telefono da Sana’a. «Bisogna cambiare la legge sui matrimoni precoci per molte ragioni. Non è solo una questione di diritti umani e di diritti del bambino ma anche una questione di sviluppo – spiega - . I dati sull’abbandono scolastico in Yemen sono molto alti, quelli sulla mortalità infantile sono tra i peggiori al mondo, e questo è legato all’età precoce dei matrimoni. Bisogna evitare che ci sia una enorme popolazione femminile senza istruzione e impreparata al mondo del lavoro, vittima e causa della trappola della povertà».

(DA CORRIERE.IT)

ELETTO IL PRIMO PARLAMENTARE DI COLORE.

Jean Leonard Touadì, eletto alla Camera nel collegio Lazio 1 con l'Idv, sarà il primo parlamentare di colore della storia italiana. Nato in Congo-Brazzaville nel 1959 è in Italia dal 1979: «Questo dato fa vedere com'è cambiata la società in questi ultimi 30 anni». È giornalista e conferenziere; ha insegnato filosofia in un liceo romano, si è laureato in Filosofia all'Università «La Sapienza»; in Giornalismo e Scienze politiche alla Luiss di Roma. È anche autore televisivo, ha lavorato per il programma di RaiDue «Un mondo a colori». Sposato con Cristina, 35enne romana e giornalista, un matrimonio «multiculturale» che supera le differenze con il rispetto e il dialogo, e due figlie (Sophie Claire, 3 anni, e Sandrine di 9 mesi), che rappresentano per Jean Leonard una «scommessa» e una sfida: «Da come cresceranno, dalla loro capacità di inserirsi in questa società e mantenere aperta al tempo stesso la doppia appartenenza culturale – spiega – potrò verificare il «laboratorio esistenziale» di questi anni trascorsi in Italia».

lunedì 14 aprile 2008

PER NON DIMENTICARE PIPPA.

A PIPPA

Abito bianco
per andare a nozze con la tua morte
e con quella di noi tutti
Ti sei vestita di bianco
ma siccome la tua anima mi sente
ti vorrei dire che la morte
non ha la faccia della violenza
ma che è come un sospiro di madre
che viene a prenderti dalla culla
con mano leggera
Non so cosa dirti
io non credo nella
bontà della gente
ho già sperimentato tanto dolore
ma è come se vedessi la mia anima
vestita a nozze
che scappa dal mondo
per non gridare

Alda Merini
(DA CORRIERE.IT)

domenica 13 aprile 2008

SALVIAMO LA MEMORIA DEL NOSTRO PAESE:SEGRETO DI STATO,SI APRONO GLI ARCHIVI

Segreto di Stato a termine e «liberazione» delle carte ancora riservate sul caso Moro. Alla vigilia delle elezioni il governo Prodi ha emanato l’unico regolamento che poteva fare in attuazione della riforma dei Servizi di sicurezza; sugli altri non è mai arrivato il parere del comitato parlamentare di controllo, e tutto è rinviato alla legislatura che verrà. Dalla prossima settimana, quando il decreto annunciato ieri dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Micheli sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, il segreto di Stato non potrà durare più di trent’anni. In origine saranno quindici, e di fronte ad esigenze particolari potrà essere reiterato una o più volte; la «durata complessiva del vincolo», però, non dovrà superare il limite dei tre decenni.
Sulla vicenda del sequestro e omicidio di Aldo Moro invece— di cui in questi giorni ricorre il trentennale, e su cui non esiste alcun segreto di Stato — lo stesso Micheli ha firmato una direttiva destinata a tutte le amministrazioni interessate per la completa declassificazione dei documenti. «E’ una decisione frutto di una precisa volontà di Prodi e del governo dovuta alla rilevanza del caso», spiega il sottosegretario. Ed è la parziale anticipazione di un altro regolamento - bloccato dall’assenza del parere parlamentare - che garantisce la consultazione di atti di servizi segreti, polizia, carabinieri, guardia di finanza e altri uffici, tuttora classificati con diciture che vanno da «riservato » a «segretissimo», in ordine crescente, senza più gli eventuali omissis. Alcuni giacciono negli archivi della commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi (cessata nel 2001), altri in quelle delle diverse amministrazioni.
Che cosa ci sia di utile a svelare gli aspetti ancora misteriosi del rapimento e dell’uccisione del presidente democristiano, ovviamente, si potrà scoprire solo dopo la loro lettura completa. Quello che in passato hanno potuto vedere i consulenti della commissione stragi (legati al vincolo della «non divulgazione») è stato considerato di scarso interesse, ma qualche sorpresa potrebbe arrivare. «Difficile immaginare di scoprire chissà quale deviazione istituzionale - osserva Micheli -, perché se queste cose sono state fatte è probabile che non sia stata lasciata traccia negli archivi. Nel caso Moro come in altre vicende». Quanto ai segreti di Stato, il nuovo limite potrà svelare vecchie vicende sulle quali all’epoca fu imposto lo stop alle indagini dei magistrati, ma non è detto che ciò avvenga in tempi brevi. Perché la decorrenza dei trent’anni non scatta dal momento del fatto di cui si parla, ma da quando il segreto è stato apposto, opposto e confermato dalla presidenza del Consiglio.
Dal 1977 - anno in cui è entrata in vigore la legge che imponeva la segretezza su «atti, documenti, notizie, attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno all’integrità dello Stato democratico » - ciò è avvenuto solo una dozzina di volte. Mai, ufficialmente e direttamente, nelle inchieste sulle stragi o il terrorismo (se non per aspetti marginali di esse), e a partire dal 1980. Questo significa che se, col nuovo regolamento, il prossimo capo del governo volesse prolungare al massimo i tempi a disposizione, la prima «caduta» di un segreto di Stato arriverebbe solo nel 2010. Troppe variabili restano in campo, anche dopo il varo del decreto Micheli, per fare previsioni attendibili. «Le inchieste giudiziarie ormai sono chiuse, siamo arrivati in ritardo», lamenta Carlo Mastelloni, ex giudice istruttore di Venezia che indagando su traffici internazionali di armi, terroristi medio- orientali e altre vicende che coinvolgevano generali e colonnelli, è stato fermato diverse volte dal segreto di Stato. Consapevole che comunque, quello che gli si voleva nascondere non l’avrebbe trovato negli archivi: «La vera arma tolta agli inquirenti è stato l’arresto per falsa testimonianza».
Sono stati soprattutto i rapporti con il Medio Oriente in subbuglio a essere coperti. E in una delle relazioni redatte dalla commissione parlamentare chiamata «Mitrokhin», dedicata alla strage di Bologna del 1980, due consulenti affermano che tra il ’74 e il ’79 «vi fu un accordo tra governo italiano e organizzazioni terroristiche palestinesi finalizzato alla prevenzione e alla deterrenza di possibili atti terroristici nel nostro Paese, che è a tutt’oggi coperto dal segreto di stato». I consulenti si riferiscono a interventi governativi del 1984 e del 1988: nel primo caso per mettere una pietra sui rapporti con alcuni gruppi medio- orientali del capocentro del Sismi a Beirut Stefano Giovannone, inquisito nell’inchiesta sulla scomparsa in Libano dei giornalisti italiani Toni e De Palo; nel secondo, per proteggere fonti coperte nell’ambito dell’indagine su una una fornitura di armi dall’Olp di Yasser Arafat alle Brigate rosse. Volendo - e se qualcuno che ne avesse interesse lo richiedesse - il prossimo governo potrebbe già rimuoverli. Chissà se lo farà. Sembra invece destinato a durare a lungo, anche con la nuova disciplina, il segreto sui lavori effettuati a Villa Certosa, la residenza sarda di Silvio Berlusconi, imposto nel 2005 per esigenze di «protezione e sicurezza» dell’allora presidente del Consiglio.


(DA CORRIERE.IT articolo di Giovanni Bianconi)

SALVIAMO L'AMBIENTE:LE LAMPADINE ECOLOGICHE CHE LO INQUINANO

«M’illumino di meno», recita uno slogan che invita al risparmio della luce elettrica. Per completarlo, in tutta onestà, bisognerebbe aggiungere: « …ma pago di più e inquino l’ambiente». E’ una storia tipicamente italiana quella che ci spinge verso l’illuminazione ecologica, senza che ci sia ancora consentito di evitare la contaminazione degli ecosistemi. Una nuova legge ha fatto scattare, a partire dal novembre 2007, il pagamento di un eco-contributo di 22 centesimi più iva per ogni lampada a basso consumo acquistata. In cambio dovrebbe essere assicurato il ritiro delle lampade non più funzionanti e, soprattutto, il loro riciclaggio in appositi centri, allo scopo di evitare la dispersione delle sostanze tossiche contenute al loro interno: mercurio e polveri fluorescenti. Invece, nei negozi in cui sono commercializzati questi prodotti, non c’è traccia dei contenitori per la raccolta differenziata, né c’è l’intenzione di accollarsi quintali di lampade fuori uso in attesa che si metta in moto il meccanismo di raccolta. Provare per credere, i più vi risponderanno: «Sì, da quest’anno applichiamo il sovrapprezzo ecologico su lampade e apparecchiature elettriche. Siamo stati informati dai produttori della costituzione di alcuni centri di riciclaggio. Ma il servizio di raccolta non è partito».
E nell’attesa le lampade finiscono nei normali cassonetti della spazzatura dove, quando non si riducono in pezzi, spargendo nell’ambiente le sostanze pericolose, tocca alla sensibilità degli operatori ecologici delle aziende municipalizzate recuperarle e poi avviarle ai centri di raccolta capaci di riciclarle. Il problema esiste solo per i 130 milioni di lampade a basso consumo di vario tipo vendute ogni anno in Italia: i cosiddetti «tubi fluorescenti» compatti e non compatti, per i quali c’è l’obbligo dello smaltimento differenziato. Tutte le altre lampade a filamento (o a incandescenza che dir si voglia) non contengono elementi tossici. «E' vero, la raccolta differenziata non è partita perché non sono ancora operative le norme specifiche per regolare il complesso meccanismo di recupero presso i punti vendita — conferma Valerio Angelelli, del ministero dell’Ambiente, presidente del Comitato di controllo e vigilanza Raee, sigla che sta per Rifiuti da apparecchiature elettriche e elettroniche —. Noi, come ministero, quelle norme le abbiamo già scritte. Ora siamo in attesa dell’approvazione finale da parte della Commissione europea. Ancora qualche mese e tutto dovrebbe funzionare come previsto».
E allora perché imporre un nuovo balzello se il sistema non è a regime? «Perché si tratta di un obbligo previsto dall’Unione europea che in Italia abbiamo recepito con un’apposita legge, la 151 del 2005—risponde Angelelli —. La legge doveva essere operativa dal 13 agosto 2005. Questa inadempienza poteva fare scattare una procedura di infrazione perché siamo stati gli ultimi in Europa ad adeguarci. Poi, nel corso di quest’ultimo anno, abbiamo provveduto ad emanare la norme necessarie a rendere operativa la legge». La legge richiamata da Angelelli è figlia di un principio valido non solo per le lampadine, ma anche per tutti gli apparecchi elettrici e elettronici, piccoli e grandi, dai cellulari ai frigoriferi: d’ora in poi chi li produce deve assicurarne il recupero a fine vita, evitando che nell’ambiente siano disperse le eventuali sostanze nocive e garantendo il riciclaggio delle parti utili. Il ciclo di esistenza di un apparecchio che comincia in una fabbrica si deve chiudere sotto la responsabilità degli stessi produttori. Ormai funziona così in tutto il mondo industrializzato. Per rispettare questo principio, i costruttori di apparati elettrici hanno creato dei consorzi che devono provvedere al riciclo. L’eco-contributo che paghiamo su ogni apparecchio serve, in pratica, a finanziare i nuovi oneri dei produttori.
Allo scopo di riciclare le lampadine a basso consumo, in prospettiva le sole a essere utilizzate, visto che quelle a filamento, più economiche ma molto energivore, saranno bandite fra circa un anno e mezzo (1˚ gennaio 2010), esistono per ora in Italia sette impianti. «Quasi tutti concentrati al Nord—informa Paolo Colombo, direttore del consorzio Ecolamp, che raccoglie le maggiori imprese nazionali e internazionali produttrici di sorgenti luminose —. Tre sono nel Milanese: a Muggiano, S.Giuliano e Segrate; le altre a Brescia-Castenedolo, Padova, Gorizia e Roma-S. Palomba. Il Sud, per ora, ne è privo e questo implica maggiori problemi di raccolta e trasporto». Gli impianti riciclatori sono il punto d’arrivo del sistema; quello di partenza sono gli esercizi commerciali che dovrebbero essere già dotati dei contenitori di raccolta per le lampade a risparmio, simili a quelli che si trovano in parecchi esercizi commerciali per le pilette esauste o per i medicinali scaduti. Trasporti periodici dovrebbero poi assicurare il trasferimento dei contenitori fino alle piazzole comunali o intercomunali di raccolta; e, infine di lì ai riciclatori.
Le piazzole già operative sono circa 500 su un totale di mille previste in tutta Italia. In esse si devono accumulare, oltre alle lampade, anche tutti gli altri Raee. Basteranno a soddisfare le esigenze di 8.000 comuni? «Dipende dal volume dei materiali elettrici e elettronici di cui ogni italiano riuscirà a sbarazzarsi. Le statistiche dicono che ogni anno ne eliminiamo una quindicina di kg a testa. Sarebbe già un ottimo risultato raggiungere entro il 2008 l’obiettivo di 4 kg pro capite, cioè disfarsi in maniera ecologica di 240.000 tonnellate di rifiuti elettrici e elettronici», auspica Angelelli. A parte il difficile avvio del riciclo, le lampade a basso consumo sono, per ora, le sorgenti luminose più consigliate in tutto il mondo. E’ vero che costano circa dieci volte di più rispetto a quelle a filamento, ma durano anche dieci volte di più e consumano l’80% di meno. Impiantarle nei locali dove si tengono a lungo le luci accese comporta un risparmio annuo di diverse decine di euro sulla bolletta elettrica familiare e quindi un rapido ammortamento della maggior spesa sostenuta per acquistarle. Per questi vantaggi la loro diffusione sul mercato è esplosa: solo due anni fa coprivano il 10% di tutte le lampade vendute. «Oggi—dice Colombo—rappresentano circa il 30% di tutte le sorgenti e prevediamo che nel giro di cinque anni si arriverà al 50%, con notevoli risparmi di energia elettrica, di petrolio e di emissioni di CO2».

(DA CORRIERE.IT articolo di Franco Foresta Martin)

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